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La Gioia dell’Unione Workshop del 16 Giugno 2013

Mentre eseguo il Ba Duan Jin, i famosi otto pezzi di broccato del qi gong, che è la mia meditazione giornaliera, va via la luce. Continuo nella penombra che mi facilita la concentrazione, e concludo senza problemi. Trascorre quasi un’ora e la luce non torna, dentro di me prendono forma i fantasmi, la mente alimenta congetture e recriminazioni, suggerimenti sul fare. Come emersi dal nulla si parano davanti al testimone interiore tutti i condizionamenti inconsci che la luce teneva lontano. Come si farà a cenare? Mi viene da sorridere pensando alla romanticità del lume di candela. E dopo? Non potrò dare la solita occhiata al PC alla posta a FB ai blog, non potrò nemmeno leggere perché a lume di candela è un’impresa. Sai che c’è, esco e mi faccio una giratina per il paese visto che ora le giornate sono lunghe e c’è “luce”. Sì! Sono in paranoia, mi accorgo che senza “luce” non riesco a fare praticamente nulla, che le giornate sono totalmente condizionate da appuntamenti fissi, senza i quali potrei sentirmi perso. Ma c’è qualcosa di diverso rispetto alle altre volte, c’è che ora osservo tutto questo come se mi riguardasse fino a un certo punto, intanto non c’è ansia, né “incazzatura”, solo la constatazione brutale che ci sono comportamenti abitudinari dai quali finisco per dipendere.

             La luce e la sua controparte, il buio….Le stanze, mano a mano, diventano sempre più evanescenti, si riempiono di ombre, di angoli oscuri dove lo sguardo non penetra. D’istinto mi siedo sul divano e sto fermo, in attesa, sto sperimentando l’accettazione dello stato delle cose, poi cerco di immaginare come mi sentirò quando sarà completamente buio, userò quel fascio di candele colorate e profumate che stanno da qualche parte in un mobiletto della sala, che mi terranno fino compagnia fino all’arrivo del sonno. Poi un’immagine, su tutte, prevale nella mia mente: un camino intorno al quale sono riuniti adulti e bambini che condividono gli eventi della giornata che va a concludersi, si raccontano fiabe e misteri tramandati dagli avi. L’immagine è così viva e intensa da sentirmi fisicamente in quello spazio. D’un tratto, la luce artificiale torna e precipito nella mente e nel corpo.

             Altra luce, per niente artificiale, esplode in questa splendida giornata di sole, nei pressi di Calenzano, sono in località Croci, in una piazzetta di un paese di poche case, respiro aria pura e sono qui per un’altra tappa del percorso di avvicinamento alla consapevolezza. L’appuntamento con tutti gli altri è qui per poi muovere verso Kokopelli, lo splendido luogo dove l’anno scorso ho tenuto un seminario dedicato all’Amore, oggi si replica, perché ancora di amore si tratta. “La Gioia dell’Unione” è il titolo del seminario al quale sto per partecipare, ispirato al vangelo secondo Maria Maddalena, è previsto un lavoro a coppie ma, al solito, la presenza femminile è schiacciante. Su trenta partecipanti, solo sei uomini. Alle 10,00 siamo su. Una parte di noi decide di percorrere a piedi l’ultimo tratto di sterrata, mentre gli altri lo fanno a bordo di un grosso fuoristrada. Cammino lungo il sentiero scosceso, ruvido, pieno di buche e di fango, e mi arriva subito la sensazione del contatto primitivo di cui sentivo assolutamente il bisogno, respiro l’aria delle penombre degli alberi, l’afrore di umido e di terra bagnata, ascolto il canto insolito di uccelli diversi da quelli di città, entro in contatto con la mia interiorità ed è già meditazione. Pochi minuti e mi ritrovo davanti alla bellissima colonica e al suo portone di legno massiccio, lì sono in attesa tutti gli altri, sento già di apprezzarne il contatto di scambiare energia. Brevi preliminari di iscrizione, a poi si passa subito al contatto con la terra, si è piedi scalzi sull’erba giovane, fresca, ancora umida di rugiada, è una sensazione fantastica di appartenenza e di gratitudine, per la quale ringraziamo carezzando il manto erboso della terra e poi agitando le mani verso l’alto a salutare il cielo, la luce, il sole, compiendo l’antico rito dell’unione taoista tra cielo e terra. Dopo si passa a lavorare nella splendida hall, la stessa che in altra occasione ho definito uno spazio vivente, dove le mura respirano e si plasmano, mutando forma e consistenza a seconda della condizione energetica dei presenti e del tipo di energia che si muove. Anche stavolta la magia si rinnova mentre ci si siede in cerchio sui materassini.

         Dopo una breve ma intensa concentrazione ad occhi chiusi, la conduttrice inizia a parlarci di Maria Maddalena, della sua figura forte e suggestiva, della sua influenza sulle opere e sul percorso spirituale di Gesù, il suo compagno. Del completamento potente, a specchio, delle due figure che incarnano l’Amore con la A maiuscola, aldilà delle interpretazioni di comodo dei vangeli ortodossi e di quelli estremi dei vangeli aprocrifi. Noto subito le analogie con le figure orientali di shiva e chakti, del Maithuna e della Unio Mistica degli ermetici, in tutti i tempi e in tutti i luoghi l’Amore si manifesta con un unico aspetto, il proprio, non riconducibile o adattabile a nessun altro che non può essere contenuto in una forma o in uno spazio definiti. Forte e potente il simbolismo della raffigurazione della Maddalena, nelle iconografie meno diffuse, mantello rosso, pelle brunita e ricoperta di peli, occhi profondi lucidi di pianto, nella mano sinistra un teschio e nella destra un libro. Impressionante la somiglianza con la chakti nella sua duplice veste creativa e distruttiva. I simboli sono intuitivi: il mantello rosso sangue indica il mestruo e il suo potere ancestrale, i peli sulla pelle indicano la primitività e istintività, quasi animale, del personaggio, il teschio, la sua vittoria sulla morte; il libro parla della sua conoscenza iniziatica e infine gli occhi, colmi di lacrime che però non sgorgano, il riflesso della commozione e del dolore per aver perso il Grande Amore della sua vita. In questa condizione di rara intensità emotiva, ci prepariamo a vivere un’esperienza di contemplazione individuale accompagnata da assoluto silenzio. Ognuno sceglie un posto nella splendida cornice del bosco che abbiamo davanti e prova a fare silenzio dentro di se e diventare parte della natura e degli oggetti contemplati. Scelgo di arrampicarmi su un fianco della stradina che si inoltra nel bosco non molto distante dalla colonica in un punto che è assolutamente isolato e scomodo, siedo su una pietra e incrocio le gambe, con qualche difficoltà per via del pantalone alla turca che indosso, peraltro così sottile da farmi percepire tutte le striature e le punte della pietra dove sto seduto, un tormento in più dico fra me, che non mi favorisce il rilassamento. Invece, con sorpresa proprio rilassandomi non avverto più la durezza della pietra mi ci adatto, ne assumo la forma, poi appoggio le ginocchia e le gambe in un mare di foglie ed erbe umide. Sono all’ombra, intorno a me sento il ronzio degli insetti, il richiamo degli uccelli che comunicano con armoniche incredibili. Mi circondano i tronchi sottili di piccole piante, i loro rami con le loro foglie piccole, a ventaglio, mi riparano dal sole che però balugina i suoi raggi negli spazi che, a tratti, il vento gli apre tra un ramo e l’altro. In sequenza avverto sciogliersi il dolore che mi procura la pietra, così come il formicolio delle gambe, il volo degli insetti, che si avvicinano alle orecchie con il loro ronzio e attraversano il mio sguardo, è diventato una danza. A un tratto sopra tutto questo, si fa spazio un vocio tumultuoso come di folla lontana, lo scrosciare di un torrente tra le roccie e, con stupore, vedo prendere forma i pensieri. Sì, i pensieri ora diventano assordanti, prima non li sentivo perché “distratto” dalla scomodità della postura. Ora che il corpo aderisce alla terra in modo fluido ecco che si liberano irresistibili e impertinenti. La conduttrice, prima di lasciarci andare, aveva suggerito una tecnica utilizzata dai monaci buddisti, per silenziare le voci interiori, pronunciare il suono “shhhhhhh”, che esorta al silenzio. Lo utilizzo dapprima spesso, poi sempre più di rado, a un certo punto sembra che non ne abbia più bisogno, però mi accorgo che è diventato esso stesso un pensiero, un fare. Lo scacciapensieri ha sostituito i pensieri. Non so cosa fare, sono tentato di smettere e di rientrare, anche perché non so da quando tempo sono qui, c’era stata concessa non più di mezz’ora ma non ho portato con me l’orologio o il cellulare, per cui potrebbero essere passati pochi minuti come un’ora. In queste condizioni il tempo non è quantificabile. Poi rifletto, non ho visto passare nessuno per il sentiero quindi……e torno a rilassarmi. Smetto di zittire i pensieri e passo a osservare quello che è intorno a me e soprattutto a “sentirlo”; guardo in modo sfocato, così che tutto tende a diventare indistinto, i colori si mescolano pur rimanendo vivi, sento la terra che vibra sotto di me, ascolto i suoni della natura, ogni fruscio di foglia ogni singolo canto di uccello, il verde delle foglie entra in me, il vento che ora arriva a folate tra i rami mi si precipita dentro. Accade che ora sono nel respiro, lo stesso della terra, delle piante, degli uccelli, dell’erba dei colori, del vento. Il respiro ha agganciato la mia attenzione e i pensieri lasciano spazio al sentire, all’appartenere, un respiro via via sempre più profondo e ritmico, fino a diventare circolare. A un certo punto in me esplode qualcosa che conosco ma che non si era mai manifestato in queste condizioni, mi perdo in una dimensione orgasmica, fatta di ebbrezza, gioia, piacere, che ad ogni soffio di vento si rafforza e potenzia. Non se questa condizione è contemplazione, quello di cui sono certo è che sto facendo l’amore con la natura e con me stesso. Per un attimo, un minuto, un istante senza tempo, non lo so e non lo saprò mai. Quando vedo passare il primo compagno che risale il sentiero il mio respiro rallenta e ritorno lentamente nel corpo. Mi rialzo ma devo fermarmi rischio di perdere l’equilibrio il corpo ancora non è attivo, resto ancora qualche minuto e quando tutto quello che mi circonda riprende la sua dimensione materiale, mi incammino. Raggiungo la colonica, entro nella hall, sono tra gli ultimi, trovo però il tempo di incontrare la nostra conduttrice e di condividere con lei la sensazione che ho provato, non servono commenti, ci si abbraccia con grande totalità e intensità. C’è ancora tempo per una bella condivisione e per una sessione a coppie, prima della pausa pranzo, che ci vede impegnati ancora nella disciplina del silenzio, ci è permesso solo scambiare i sorrisi e incontrare gli sguardi. Il silenzio però viene rotto per volontà della stessa conduttrice poco prima della fine del pranzo, perché la tensione è alta, così come è forte il disagio in chi non ha mai vissuto un’esperienza del genere. La reazione è scontata, sgorga un fiume di parole che invade la preziosa e grandissima sala da pranzo, scorre sul lunghissimo tavolo dove poggia una splendida tovaglia dorata e zig zaga tra le lucerne bianche appoggiate sul piano a distanze uguali l’una dall’altra. Più che di un pranzo si è trattato di una vera e propria celebrazione, nel silenzio eravamo molto più intimi e vicini. Le parole allontanano. Le persone sedute al mio fianco e di fronte a me nella fase del silenzio erano dentro di me, ogni loro movimento, ogni sensazione ed emozione erano miei, ora è come se una barriera si fosse innalzata tra di noi. Il pomeriggio scivola via con fluidità, tra meditazioni, condivisioni, rituali e una originale sessione a coppie, dove ritorna ancora una volta il silenzio, stavolta però c’è il contatto delle mani a simboleggiare la fusione emotiva, la scoperta dell’altro come specchio di se, la matrice dell’unione da cui nasce l’Amore sacro. La sessione p rosegue all’aperto distesi sul prato su un fianco si osserva in volto il partner senza parlare, dopo alcuni minuti ci si distende l’uno accanto all’altro e ci si tiene per mani con gli occhi chiusi. La sensazione è di leggerezza e completezza insieme. Altri minuti e poi ci vengono dati dei foglietti e una penna, per esprimere su carta una dichiarazione d’amore o di affetto che parta dal Cuore. Dichiarazioni che vengono lette liberamente nella grande condivisione finale che corona l’intensissima e bellissima giornata che ci ha fatto ricoprire l’esistenza della controparte che è in noi, la potenzialità dell’unione sacra degli opposti in noi ancora prima dell’unione sacra con il partner. La Gioia dell’Unione, appunto!

Premartha Giuseppe Crispo